Il significato del Made in Italy nonostante la crisi

produzione-italiaL’ultimo rapporto del Censis fotografa un paese ancora in affanno, incapace di levarsi dalle sabbie mobili della crisi, con le polveri bagnate, che resiste arenato sulla battigia, in virtù di alcuni fondamentali, primo fra tutti il “marchio Italia”, che nel settore manifatturiero è sinonimo di alta qualità.

Ogni nazione ha il suo tratto distintivo, quando parliamo del settore manifatturiero. Ai prodotti made in Germania spesso associamo il concetto di resistenza e durabilità. Anche le macchine ci sembrano più solide se sono tedesche. Ai prodotti costruiti in Giappone associamo un certo grado di funzionalità, cose che altri non garantiscono in termini di tecnologia. Basti pensare alla Prius, l’auto ibrida della Toyota, che viene giustamente considerata un grande avanzamento tecnologico.

E il made in Italy allora a cosa viene associato? E’ davvero l’unico fondamentale che regge nonostante tutto? Sembrerebbe proprio di si, la nostra capacità manifatturiera, che ci porta al secondo posto in Europa per la trasformazione delle materie prime e la produzione di prodotti e beni trasformati, appena dietro i Tedeschi, continua ad essere sinonimo di qualità. Negli arredamenti, nella moda, nell’industria automobilistica, in quella militare, della ceramica e delle costruzioni, il made in Italy significa qualità ed eleganza, un mix che si può sfoggiare a riprova dell’eccellenza, in sede di vendita.

Made in Italy significa in tutto e per tutto fatto in Italia, non solo concepito e disegnato. E’ vero, le nostre aziende più grandi hanno delocalizzato, come è il caso di alcune grandi case di moda, per esempio nel produttivo settore calzaturificio. Un prodotto creato al 30% in Italia e al 70% fuori può essere considerato italiano, secondo la normativa comunitario, ma si tratta di una sorta di finzione.

La bontà del prodotto italiano risplende soprattutto nelle piccole produzione delle aziende che hanno mantenuto gli stabilimenti entro i nostri confini, perché troppo piccole per assumere dimensione internazionale. Il tessuto economico delle PMI (piccole medie imprese) è assai rilevante e rappresenta la spina dorsale della nostra manifattura. Qui il made in Italy è radicato e permea ogni aspetto della produzione. Pensiamo a una borsa di pelle, che viene disegnata dalla casa, prodotta in conceria, che richiede elementi di stampi prodotti in loco e poi assemblata nello stabilimento. Il sistema dei distretti unisce in genere i produttori assieme ai distributori, connettendoli anche con l’indotto che viene generato da un singolo prodotto.

Sia come sia, per gli acquirenti di tutto il mondo “made in Italy” coincide con prodotto di lusso, di qualità, che denota una cura dei particolari e delle finiture, che gli garantiscono quel plus di durata che è tipico di prodotti eccellenti. Si paga il marchio perché si paga il design, quindi l’unicità, la capacità di distinguersi e di creare identificazione, che è quello che gli acquirenti cercano. Una borsa di Prada o di Gucci ha il suo perché per molti motivi: prima di tutto rispondono al gusto delle acquirenti, che i designer delle case di moda sanno interpretare e indirizzare.

Nell’italiano il bel gusto è proverbiale infatti. In secondo luogo la borsa è evidentemente di alta qualità e un occhio attento sa riconoscere i particolari che ne fanno la differenza. Non ci sono inserti di plastica, anche le fodere interne sono di estrema qualità, così come la tracolla o le chiusure. Una borsa simile non si scuce facilmente, né si rovina esposta agli agenti atmosferici nell’utilizzo ordinario. In terzo luogo chi l’acquista la mostra in giro perché è orgoglioso di un acquisto che denota uno status sociale. Acquistare made in Italy un po’ ovunque (si pensi alle cucine, le migliori del mondo) equivale a dire: mi sono realizzato, ce l’ho fatta e questo è il modo di comunicarvelo.

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